SEGNALAZIONE: "RODI - IL SORRISO DEL COLOSSO" DI ANDREA GUIDO SILVI

SEGNALAZIONE

Andrea Guido Silvi, Rodi - Il sorriso del Colosso, Italian Sword&Sorcery Books


L'AUTORE
Classe 1981, è nato a Rieti, dove il verde non manca e si respira ancora un po’ di magia tra boschi, laghi e santuari. Viaggia molto, sempre alla ricerca dell’incanto di paesaggi diversi, e ama il trekking e la vita all’aperto. Nelle sue descrizioni, fantasy e non, c’è poco d’inventato, perché pensa che non ci sia molto da aggiungere, se non la giusta storia, alla bellezza del grande nord o delle creste vulcaniche d’isole quasi incontaminate. La magia che non ha potuto vivere direttamente l’ha trovata nella lettura. Ha chiari numi cui ispirarsi: C.A. Smith, H.P. Lovecraft, E.A. Poe, E. Salgari, J.R.R. Tolkien. 
Come scrittore ha un’unica ambizione: mettere davanti agli occhi del lettore un mondo altro, trascinarlo al suo interno e coinvolgerlo. Questo non solo per fargli dimenticare la realtà per qualche ora, ma per consentirgli di vivere avventure, sfide, contesti morali e punti di vista diversi con cui confrontarsi. È questo il motivo per cui, ritiene, si scrive ancora oggi fantasy con draghi, cavalieri e castelli nella nebbia: la promessa di un mondo onirico, diverso e distante dal giornaliero, predispone al meglio la mente del lettore a regole per lui inusuali o aliene, consentendogli esperienze uniche che si aggiungono al suo bagaglio in maniera del tutto simile a quelle del suo vissuto ordinario.
Vive e lavora a Roma, dove si occupa con soddisfazione di marketing.

LA TRAMA
Ai tempi del Colosso il mondo vede creazioni quali la batteria di Baghdad e il meccanismo di Anticitera, gli studi di anatomia di Aristotele e dei suoi allievi, o quelli sulla pneumatica di Ctesibio... La Scuola d’Ingegneria di Rodi è famosa in tutto il Mediterraneo per i suoi automi ed è in contatto costante con il Museo di Alessandria. In questo mondo di meraviglia le idee acquistano materia con facilità, e immortalità e divino sono idee esse stesse.
Filosofia, scienza e stregoneria sono una cosa sola, che dà la padronanza di potenti tecnologie oggi perdute; il clero di Elio-Apollo mira all’egemonia, sradicando tradizioni antiche e il credo negli altri Dèi; divinità con menti e fini inumani giocano con le vite dei mortali, che possono solo illudersi di cambiare il loro destino… e quando le spade si scoprono inutili, ben pochi sono gli eroi. Nel 226 a.C., in tredici racconti tra weird e sword and sorcery, il terremoto che distruggerà il Colosso, divenuto simbolo d’un mondo incomprensibile, s’avvicina sino a compiersi.

Ogni racconto è seguito da una breve nota che illustra spunti e curiosità meno note della mitologia greca e della storia dell’epoca.

ESTRATTO DAL RACCONTO "IL DIO NEL PALAZZO"

La lira a quattro corde era uno strumento antico: l’essenzialità della sua gamma sonora richiedeva la massima bravura, e il talento del trace, citaredo e rapsodo, era indubbio quanto il valore dello stesso strumento che impugnava, realizzato con il guscio tigrato d’una tartaruga d’Africa, legno di cipresso e lega dorata. Nel rispetto dell’antica arte, lui non ricorreva a giochi di luci, lampi colorati o altri trucchi, né aveva bisogno d’artefatti quali pupazzi automatici per eccitare l’immaginazione di chi lo ascoltava; il viso dai lineamenti netti e duri, dall’incarnato olivastro, non tradiva alcuna emozione se non quelle richieste dalla prestazione, abilmente recitate, e gli occhi castani mostravano una concentrazione quasi meccanica. Né, a differenza d’altri più vanesi, indossava vesti appariscenti: lui portava un chitone grigio corto, che non dava alcun risalto alla sua persona, e copriva i ricci mori con un berretto di pelle di volpe.

Ai piedi d’una delle tante statue marmoree di Elio-Apollo, riproduzione alta due volte un uomo del Colosso, ma a sua differenza armata d’una spada al posto della fiaccola del faro, il citaredo cantava la sua Iliade nel caldo del mattino. La lira aggiungeva sfumature ai toni del canto del trace, accompagnandone i versi con suoni delicati ma ben udibili, e rafforzava il colore delle scene raccontate. In quel momento il ritmo scandito sulle corde era lento e marziale, la voce del cantore bassa e cupa, e la gente assiepata nello slargo assolato s’immaginava d’assistere al preludio d’una battaglia notturna. La calura e i marmi bianchi della città di Rodi erano scomparsi e v’era sabbia, il rumore delle onde, e le truppe troiane che avanzavano in silenzio nel buio, dirette alla spiaggia, dove erano state tirate a secco le navi di Agamennone, Menelao e dei loro alleati.

Mentre gli Achei dormivano inconsapevoli del pericolo, un corpulento mercante con le vesti intessute d’oro si faceva strada tra la folla con i quattro mercenari numidi della sua scorta, accomodandosi infine a terra sotto il Sole per calarsi nello scenario tetro insieme agli altri spettatori. Non contavano le ricchezze di fronte ai cantastorie, soprattutto se bravi come il trace, e vecchi e bambini, poveri e ricchi sedevano fianco a fianco per ascoltarlo. Non che il trace fosse simpatico o altrimenti piacevole, perché non sorrideva né parlava con nessuno, ma la sua fama si era diffusa in tutta la città in soli due giorni. Era il terzo giorno dal suo arrivo e s’era appena mostrato lo spettatore rodiota certamente più ricco che mai avesse ascoltato un suo canto, che sedeva dimentico dei suoi affari e dei problemi che lo affliggevano, sorridente, rilassato e bonario come i bambini che lo circondavano.

Le sentinelle degli Achei morivano con le lame di nemici invisibili a trafiggergli le schiene e la piazza assolata tratteneva il fiato; frecce infuocate solcarono il cielo notturno, mentre la lira diffondeva le note secche delle sue corde pizzicate in rapida successione e il ricchissimo mercante portava le mani alla gola; le fiamme si diffondevano tra le tende e le navi, e il notabile rodiota, con il volto livido, s’accasciava a terra rantolando. La confusione che scosse la piazza non fu forse paragonabile a quella dell’accampamento delle truppe di Agamennone, ma lo scattare dei mercenari numidi a difesa del loro protetto travolse donne e bambini nelle vicinanze, si sentirono imprecazioni e urla. Tutti guardavano l’uomo che schiumava bava giallastra tra le labbra divenute blu e non poterono far nulla per salvarlo. Spirò in pochi istanti e, quando le sue mani mollarono la stretta sulla gola, si vide che aveva tre lunghi aghi conficcati profondamente nella carotide. I numidi sguainarono le spade corte guardandosi intorno e digrignando i denti come cani rabbiosi. Nel disordine diversi s’erano allontanati, e tra questi il citaredo trace, sparito senza dare nell’occhio…


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